Voglia di vivere e condividere

Posted by Francesca Zaccani

Sono ormai quasi due mesi che sono a Maputo, nella capitale del Mozambico. Pian piano si accumulano  cosi tante cose da fare che il tempo passa incredibilmente veloce, senza neanche che me ne accorga. In due mesi ho avuto la fortuna di interagire con persone e famiglie di diverse condizioni, diversi sogni e ambizioni. La mia consapevolezza che sicuramente avrei trovato qui un modo di vita totalmente diverso dal nostro mi ha permesso di vivere le mie giornate restando serena, coltivando il desiderio di conoscere sempre di più questa cultura, restando positiva e aiutando, per come potevo, gli altri. 
Qui c'è la povertà vera, le persone appena riescono a vendere la loro frutta e verdura, il loro pesce o pollo, o i loro manufatti, si comprano a loro volta qualcosa da mangiare per loro e la loro famiglia. Non c'è un idea di risparmio o semplicemente la possibilità di mettere via dei soldi, è praticamente impossibile, e se qualcuno riesce a farlo è per costruirsi comunque un tetto sopra la testa. A Maputo ho avuto modo di vivere e vedere due divergenze altissime: i poveri e i ricchi. Non ci sono le classi medie. I mozambicani però sono un popolo molto ‘aperto’;  mi danno la possibilità di farmi conoscere e di essere apprezzata per quello che sono. Da subito con questa gente mi sono trovata molto a mio agio, sono persone molto disponibili, allegre, curiose e non ti direbbero mai di no per niente al mondo. Nonostante questo sto vedendo quanto hanno bisogno di essere educate e di avere un cuore più aperto agli altri, cercando di comprendere e non dare per scontato che un bianco è sinonimo di ricco. 

Per crescere
Era ormai da tanto tempo che pensavo di fare un’esperienza di volontariato fuori dall’Europa. Già da quando ero alle superiori e frequentavo la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore, avevo sentito parlare molto di un paese in Africa chiamato Mozambico, ma sinceramente non ci avevo dato molta importnaza. Poi quando la mia cara amica Lisetta venne trasferita, dopo tanti anni vissuti in Italia, in Mozambico, ho realizzato che forse un’esperienza in Africa, dove era lei, era quello che mi ci voleva per crescere umanamente e spiritualmente. Il mio pensiero costante nel 2010 era così il poter raggiungere la mia amica Lisetta e le altre missionarie e poter dare una mano, per quanto possibile, a loro  nei loro vari progetti. Mi sono laureata in luglio scorso e il 17 Settembre mi sono ritrovata sull’aereo diretto a Maputo, capitale del Mozambico. Il pensiero di andare da sola non mi ha spaventato e mi piaceva l’idea di poter lavorare solamente con le persone del posto. Ancora non era chiaro che cosa sarei andata a fare o se sarei rimasta tutto il tempo del mio soggiorno (circa due mesi e mezzo) a Maputo o avrei raggiunto Martina a Nampula, ma, nonostante un pò di preoccupazione perchè era il mio primo lunghissimo viaggio in Africa, sapevo che per ogni cosa avrei potuto contare sulle missionarie. Di motivazioni che spingono a fare un’esperienza simile ce ne possono essere tante come nessuna. É un desiderio che ti cresce dentro, è qualcosa per cui senti che  vale la pena farlo, che è il momento di farlo, perchè poi magari questo momento svanirà. E’ la voglia di vivere e vedere un posto diverso dal tuo, di condividere e di portare l’amore di Gesù con gli altri, di seguire il cammino di molti, come le missionarie, che operano del bene. 
A Maputo sto lavorando parecchio, cercando anche di aiutare persone che mi chiedono il loro aiuto, e arrivo a casa, dopo un intera giornata fuori a lavorare, sempre distrutta! Ma almeno anche il mio rientro a casa è sereno perchè so che non sono sola, che ci sono persone che hanno già fatto e stanno continuando a fare il mio cammino, il mio lavoro e molto di più. Queste persone sono sempre pronte ad ascoltarmi e hanno voglia di parlarmi ed ‘educarmi’. Lisetta, Irene e Giannina sono davvero molto importanti per me, per la condivisione con loro di questa mia esperienza di volontariato. Ognuna di loro col proprio temperamento, ognuna con un’indole forte e saggia, ognuna così diversa dall’altra che mi fanno sempre sorridere. Sono amiche, e mi hanno da subito fatto sentire a mio agio e fatto conoscere persone e posti di Maputo. Assieme a loro anche Alice e Julieta, due missionarie mozambicane, mi sono sempre state vicino in questo mio cammino. Entrambe dolcissime. 
 
Come una mamma
Il mio lavoro qui consiste nel dare lezione di inglese ai bambini dai 3 ai 5 anni al ‘Centro Infantil Esperança’ (scuola materna) di Irene, specialmente la mattina. Resto comunque fino a pomeriggio insieme ai bambini e alle educatrici nelle loro varie attività ludico-riceative, dal lunedi al venerdì. Al di fuori di questo impegno mi sono cercata anche un altro lavoro di volontariato presso un orfanotrofio (Infantario 1°de Maio), suggeritomi da Irene, nel centro di Maputo. Sto cercando quindi di far coincidere il lavoro della scuola materna con quello all’orfanotrofio. Non tutti i pomeriggi o sere riesco ad andare dagli altri bimbi dell’orfanotrofio ma cerco di andarci quando posso e anche nel week end. Lì aiuto a dar loro la pappa, a lavarli, a giocare e insegnargli un po d'inglese (quando non fanno i capricci) e metterli a letto. Sia i bambini della materna sia quelli dell’orfanotrofio sono tantissimi, con la differenza che quelli della materna nel pomeriggio tornano a casa dalla loro famiglia, mentre quelli dell’orfanotrofio ritengono quell’edificio la loro unica casa. Sono circa una sessantina ed è davvero difficile tenerli tutti a bada, sopratutto perchè vanno dall'età compresa tra i pochi mesi ai 10-12 anni. Io sto piu con quelli dai 3 anni ai 10 anni. Ho fatto questa scelta perché con loro riesco meglio a parlare, a giocare, a ballare (adorano ballare); insegno loro un po’ di inglese, li aiuto a lavarsi, li faccio mangiare:  insomma tutto quello che una madre può fare per suo figlio. Tutti questi bambini sono stati abbandonati dai genitori, trovati per strada o sono orfani. Alcuni di loro non parlano, altri hanno malattie serie, altri ancora hanno degli handicap. Più che bambini sembrano cani randagi o meglio ‘selvaggi’, molti non hanno educazione, molti – anche a 12 anni-  non sanno né leggere né scrivere, molti sanno usare solo violenza con il prossimo. Nessuno ha insegnato loro altro per sopravvivere al mondo e la mia paura è che uscendo di qua non abbiano alcuna speranza nella società. Ma – con certezza – ognuno di loro vuole essere amato e fanno il possibile per farsi amare.

L’amore dei bimbi
All’inizio avevo difficoltà a rapportarmi con tutti, proprio perchè ognuno di loro ha subito nell'infanzia gravi traumi, ancora visibili nel corpo e soprattutto nella mente. Questo ha fatto si che all’inizio io avessi difficoltà e quasi paura ad avvicinarmi a certi bimbi. Ma poco a poco questa paura si è trasformata in amore puro e sincero e mi sono cosi affezzionata a tutti loro che a volte penso: ‘non so come farei anche solo un giorno senza il loro sguardo’. Mi sono affezzionata a loro come agli altri bimbi del Centro Infantil. I bimbi ti danno davvero tanta gioia nel cuore. E oltre che con loro ho instaurato un bellissimo rapporto anche con tutte le educatrici e lavoratrici del Centro Infantil. Mi stanno permettendo di mettere in pratica il mio povero portoghese e mi stanno insegnando anche qualche parola della loro lingua locale, lo xangano. E’ anche una soddisfazione enorme vedere che dopo quasi due mesi i bambini sappiano già pronunciare alcune parole o frasi in inglese e sappiano contare fino a 15. 
Per tutti questi bimbi cresce in me un senso di amore ancora più grande della compassione o della tristezza. Un amore grande da poterli avvolgere tutti. Loro forse ancora non lo sanno ma sanno donare tanto amore a chi gli sta accanto. 
Soprattutto capisco che io non sto facendo niente; sono loro, le missionarie e soprattutto il Signore,  che mi stanno guidando per un cammino pieno di amore e servizio, senza dubbio difficile, ma al quale è impossibile non abbandonarsi. I ritmi di vita in Mozambico sono un po’ pesanti: per il clima, per i vari mezzi di trasporto, la polvere, la confusione in generale, la situazione sociale delle persone e le condizioni di vita nella città. Ma proprio i bambini, con la loro voglia di stare con me, mi ricompensano le fatiche e le  stanchezze;  vado da loro ogni giorno, anche solo per avere un abbraccio, e non solo dai bimbi ma di tutte le persone del luogo che in queste settimane ho avuto il piacere di conoscere. Mi sento bene. 

Imparare, ricordare… e forse tornare
Sto davvero facendo amicizia con tante bellissime persone. Ognuna ha una storia - non facile-da raccontare ed io sono sempre molto affascinata da questo: conoscere  queste storie che mi aiuta poi a comportarmi adeguatamente con ciascuno di loro.
Oltre a questi due lavoretti, mi sto dedicando all’arte di creare, con le foglie di banana, delle immagini da mattere poi su dei cartoncini bianchi che, ritagliati, formano una cartolina. In questo mi sta dando una mano Zubaira, un  giovane, che sta ancora studiando e che si occupa di fare cartoline e altre cose sempre con foglie di banana per venderle e mantenersi un po. Mi è stato presentato da Giannina, ma è  anche amico di Irene. Mi piace tantissimo poter imparare cose che qui fanno e che nel mio paese purtroppo non c’è modo di fare e di imparare. In Italia ormai non ci osno più ragazzi volenterosi di fare artigianato. O almeno ne vedo pochissimi. 
Credo che mi piacerebbe tornare ancora qui in futuro, e conoscere ancora di più questa realtà. Nella vita ho imparato ad ascoltare il mio cuore e capire di cosa lui ha bisogno. Io qui, nonostante tanta stanchezza, sto bene e sicuramente mi piacerebbe molto imparare e sapere parlare di più il xangano per essere di più integrata in questa cultura. Anche se ciò non basta. 
Di questa esperienza e di questo luogo mi porterò via tanti bei ricordi, tra questi sicuramente gli occhi dolcissimi di ogni bambino che ho incontrato, gli alberi immensamente grandi e belli, i fiori unici e stupendi, la natura in sè, la spiaggia, la gente con cui lavoro, i piatti che prepara sempre Tia Argentina, le educatrici, le missionarie, la gelatina colorata, gli edifici portoghesi ancora datati nel periodo della colonizzazione, le fantasie delle capulane, gli amici che ho conosciuto e incontrato, la musica mozambicana, i balli dei bambini, i tamburi, gli shapa, i giovani a messa la sera e la domenica mattina, l’oceano, le piogge la notte, la luna splendente e così vicina, i tre soli della città, la terra rossa, MAPUTO. 
Sono ormai quasi due mesi che sono a Maputo, nella capitale del Mozambico. Pian piano si accumulano cosi tante cose da fare che il tempo passa incredibilmente veloce, senza neanche che me ne accorga. In due mesi ho avuto la fortuna di interagire con persone e famiglie di diverse condizioni, diversi sogni e ambizioni. La mia consapevolezza che sicuramente avrei trovato qui un modo di vita totalmente diverso dal nostro mi ha permesso di vivere le mie giornate restando serena, coltivando il desiderio di conoscere sempre di più questa cultura, restando positiva e aiutando, per come potevo, gli altri. Qui c'è la povertà vera, le persone appena riescono a vendere la loro frutta e verdura, il loro pesce o pollo, o i loro manufatti, si comprano a loro volta qualcosa da mangiare per loro e la loro famiglia. Non c'è un idea di risparmio o semplicemente la possibilità di mettere via dei soldi, è praticamente impossibile, e se qualcuno riesce a farlo è per costruirsi comunque un tetto sopra la testa. A Maputo ho avuto modo di vivere e vedere due divergenze altissime: i poveri e i ricchi. Non ci sono le classi medie. I mozambicani però sono un popolo molto ‘aperto’; mi danno la possibilità di farmi conoscere e di essere apprezzata per quello che sono. Da subito con questa gente mi sono trovata molto a mio agio, sono persone molto disponibili, allegre, curiose e non ti direbbero mai di no per niente al mondo. Nonostante questo sto vedendo quanto hanno bisogno di essere educate e di avere un cuore più aperto agli altri, cercando di comprendere e non dare per scontato che un bianco è sinonimo di ricco. Per crescere Era ormai da tanto tempo che pensavo di fare un’esperienza di volontariato fuori dall’Europa. Già da quando ero alle superiori e frequentavo la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore, avevo sentito parlare molto di un paese in Africa chiamato Mozambico, ma sinceramente non ci avevo dato molta importnaza. Poi quando la mia cara amica Lisetta venne trasferita, dopo tanti anni vissuti in Italia, in Mozambico, ho realizzato che forse un’esperienza in Africa, dove era lei, era quello che mi ci voleva per crescere umanamente e spiritualmente. Il mio pensiero costante nel 2010 era così il poter raggiungere la mia amica Lisetta e le altre missionarie e poter dare una mano, per quanto possibile, a loro nei loro vari progetti. Mi sono laureata in luglio scorso e il 17 Settembre mi sono ritrovata sull’aereo diretto a Maputo, capitale del Mozambico. Il pensiero di andare da sola non mi ha spaventato e mi piaceva l’idea di poter lavorare solamente con le persone del posto. Ancora non era chiaro che cosa sarei andata a fare o se sarei rimasta tutto il tempo del mio soggiorno (circa due mesi e mezzo) a Maputo o avrei raggiunto Martina a Nampula, ma, nonostante un pò di preoccupazione perchè era il mio primo lunghissimo viaggio in Africa, sapevo che per ogni cosa avrei potuto contare sulle missionarie. Di motivazioni che spingono a fare un’esperienza simile ce ne possono essere tante come nessuna. É un desiderio che ti cresce dentro, è qualcosa per cui senti che vale la pena farlo, che è il momento di farlo, perchè poi magari questo momento svanirà. E’ la voglia di vivere e vedere un posto diverso dal tuo, di condividere e di portare l’amore di Gesù con gli altri, di seguire il cammino di molti, come le missionarie, che operano del bene. A Maputo sto lavorando parecchio, cercando anche di aiutare persone che mi chiedono il loro aiuto, e arrivo a casa, dopo un intera giornata fuori a lavorare, sempre distrutta! Ma almeno anche il mio rientro a casa è sereno perchè so che non sono sola, che ci sono persone che hanno già fatto e stanno continuando a fare il mio cammino, il mio lavoro e molto di più. Queste persone sono sempre pronte ad ascoltarmi e hanno voglia di parlarmi ed ‘educarmi’. Lisetta, Irene e Giannina sono davvero molto importanti per me, per la condivisione con loro di questa mia esperienza di volontariato. Ognuna di loro col proprio temperamento, ognuna con un’indole forte e saggia, ognuna così diversa dall’altra che mi fanno sempre sorridere. Sono amiche, e mi hanno da subito fatto sentire a mio agio e fatto conoscere persone e posti di Maputo. Assieme a loro anche Alice e Julieta, due missionarie mozambicane, mi sono sempre state vicino in questo mio cammino. Entrambe dolcissime. Come una mamma Il mio lavoro qui consiste nel dare lezione di inglese ai bambini dai 3 ai 5 anni al ‘Centro Infantil Esperança’ (scuola materna) di Irene, specialmente la mattina. Resto comunque fino a pomeriggio insieme ai bambini e alle educatrici nelle loro varie attività ludico-riceative, dal lunedi al venerdì. Al di fuori di questo impegno mi sono cercata anche un altro lavoro di volontariato presso un orfanotrofio (Infantario 1°de Maio), suggeritomi da Irene, nel centro di Maputo. Sto cercando quindi di far coincidere il lavoro della scuola materna con quello all’orfanotrofio. Non tutti i pomeriggi o sere riesco ad andare dagli altri bimbi dell’orfanotrofio ma cerco di andarci quando posso e anche nel week end. Lì aiuto a dar loro la pappa, a lavarli, a giocare e insegnargli un po d'inglese (quando non fanno i capricci) e metterli a letto. Sia i bambini della materna sia quelli dell’orfanotrofio sono tantissimi, con la differenza che quelli della materna nel pomeriggio tornano a casa dalla loro famiglia, mentre quelli dell’orfanotrofio ritengono quell’edificio la loro unica casa. Sono circa una sessantina ed è davvero difficile tenerli tutti a bada, sopratutto perchè vanno dall'età compresa tra i pochi mesi ai 10-12 anni. Io sto piu con quelli dai 3 anni ai 10 anni. Ho fatto questa scelta perché con loro riesco meglio a parlare, a giocare, a ballare (adorano ballare); insegno loro un po’ di inglese, li aiuto a lavarsi, li faccio mangiare: insomma tutto quello che una madre può fare per suo figlio. Tutti questi bambini sono stati abbandonati dai genitori, trovati per strada o sono orfani. Alcuni di loro non parlano, altri hanno malattie serie, altri ancora hanno degli handicap. Più che bambini sembrano cani randagi o meglio ‘selvaggi’, molti non hanno educazione, molti – anche a 12 anni- non sanno né leggere né scrivere, molti sanno usare solo violenza con il prossimo. Nessuno ha insegnato loro altro per sopravvivere al mondo e la mia paura è che uscendo di qua non abbiano alcuna speranza nella società. Ma – con certezza – ognuno di loro vuole essere amato e fanno il possibile per farsi amare. L’amore dei bimbi All’inizio avevo difficoltà a rapportarmi con tutti, proprio perchè ognuno di loro ha subito nell'infanzia gravi traumi, ancora visibili nel corpo e soprattutto nella mente. Questo ha fatto si che all’inizio io avessi difficoltà e quasi paura ad avvicinarmi a certi bimbi. Ma poco a poco questa paura si è trasformata in amore puro e sincero e mi sono cosi affezzionata a tutti loro che a volte penso: ‘non so come farei anche solo un giorno senza il loro sguardo’. Mi sono affezzionata a loro come agli altri bimbi del Centro Infantil. I bimbi ti danno davvero tanta gioia nel cuore. E oltre che con loro ho instaurato un bellissimo rapporto anche con tutte le educatrici e lavoratrici del Centro Infantil. Mi stanno permettendo di mettere in pratica il mio povero portoghese e mi stanno insegnando anche qualche parola della loro lingua locale, lo xangano. E’ anche una soddisfazione enorme vedere che dopo quasi due mesi i bambini sappiano già pronunciare alcune parole o frasi in inglese e sappiano contare fino a 15. Per tutti questi bimbi cresce in me un senso di amore ancora più grande della compassione o della tristezza. Un amore grande da poterli avvolgere tutti. Loro forse ancora non lo sanno ma sanno donare tanto amore a chi gli sta accanto. Soprattutto capisco che io non sto facendo niente; sono loro, le missionarie e soprattutto il Signore, che mi stanno guidando per un cammino pieno di amore e servizio, senza dubbio difficile, ma al quale è impossibile non abbandonarsi. I ritmi di vita in Mozambico sono un po’ pesanti: per il clima, per i vari mezzi di trasporto, la polvere, la confusione in generale, la situazione sociale delle persone e le condizioni di vita nella città. Ma proprio i bambini, con la loro voglia di stare con me, mi ricompensano le fatiche e le stanchezze; vado da loro ogni giorno, anche solo per avere un abbraccio, e non solo dai bimbi ma di tutte le persone del luogo che in queste settimane ho avuto il piacere di conoscere. Mi sento bene. Imparare, ricordare… e forse tornare Sto davvero facendo amicizia con tante bellissime persone. Ognuna ha una storia - non facile-da raccontare ed io sono sempre molto affascinata da questo: conoscere queste storie che mi aiuta poi a comportarmi adeguatamente con ciascuno di loro. Oltre a questi due lavoretti, mi sto dedicando all’arte di creare, con le foglie di banana, delle immagini da mattere poi su dei cartoncini bianchi che, ritagliati, formano una cartolina. In questo mi sta dando una mano Zubaira, un giovane, che sta ancora studiando e che si occupa di fare cartoline e altre cose sempre con foglie di banana per venderle e mantenersi un po. Mi è stato presentato da Giannina, ma è anche amico di Irene. Mi piace tantissimo poter imparare cose che qui fanno e che nel mio paese purtroppo non c’è modo di fare e di imparare. In Italia ormai non ci osno più ragazzi volenterosi di fare artigianato. O almeno ne vedo pochissimi. Credo che mi piacerebbe tornare ancora qui in futuro, e conoscere ancora di più questa realtà. Nella vita ho imparato ad ascoltare il mio cuore e capire di cosa lui ha bisogno. Io qui, nonostante tanta stanchezza, sto bene e sicuramente mi piacerebbe molto imparare e sapere parlare di più il xangano per essere di più integrata in questa cultura. Anche se ciò non basta. Di questa esperienza e di questo luogo mi porterò via tanti bei ricordi, tra questi sicuramente gli occhi dolcissimi di ogni bambino che ho incontrato, gli alberi immensamente grandi e belli, i fiori unici e stupendi, la natura in sè, la spiaggia, la gente con cui lavoro, i piatti che prepara sempre Tia Argentina, le educatrici, le missionarie, la gelatina colorata, gli edifici portoghesi ancora datati nel periodo della colonizzazione, le fantasie delle capulane, gli amici che ho conosciuto e incontrato, la musica mozambicana, i balli dei bambini, i tamburi, gli shapa, i giovani a messa la sera e la domenica mattina, l’oceano, le piogge la notte, la luna splendente e così vicina, i tre soli della città, la terra rossa, MAPUTO.